Articoli su Giovanni Papini

1921


Agostino Gemelli

L'evoluzione religiosa di G. Papini

Pubblicato in: Vita e Pensiero, rassegna italiana di cultura, anno VII, vol. XII, fasc. 94, pp. 257-268
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Data: maggio 1921



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   Quando Giovanni Papini, parecchi mesi fa, fece annunziare che stava lavorando a una vita di G. Cristo, i più di coloro che del Papini conoscevano più o meno bene il passato remoto e prossimo, si divisero in due parti e assunsero subito, a seconda del loro carattere religioso o irreligioso, due diversi atteggiamenti: di speranza e di timore. I non credenti, i non cristiano-cattolici e quelli che il Papini chiama «cristianucci» e quelli, pur flagellati a sangue da lui, che si sono battezzati liberi cristiani, perciò della dottrina di Cristo levano tutto quello che non piace e non fa comodo; tutti i settari, tutti gli spretati, tutti gli apostati speravano di avere presto tra le mani un'altra storia alla Renan, appassionata per lo scintillio letterario e sentimentale, eterodossa nella affermazione e nella negazione, scandalosa nel tono e nella sostanza della polemica contro il dogma, contro le chiese positive e specialmente contro la Chiesa Cattolica. Quello che costoro speravano, i credenti, i più dei cattolici, temevano. E quella speranza e quel timore erano stati fomentati da certe dichiarazioni dello stesso Papini. L'attesa fu lunga e per gli uni e per gli altri, e tutti sanno ora che la “Storia, di Cristo„ ha dissipato timori e speranze. Il nuovo libro — così nuovo! — del Papini è ortodosso, lo è nell'intenzione dell'autore, lo è altresì nella sostanza, benché qua e là vi siano espressioni teologicamente inesatte che non sono giustificate nè dalla lettera nè


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dallo spirito del "Vangelo e che non ci danno perciò il Cristo nella sua integra figura e nella sua genuina o scrupolosa fisionomia 1: ma chi può ragionevolmente essere sorpreso di trovare qualche incertezza di espressione teologica in una Storia di Cristo di più che seicento pagine, scritte da un laico, da un Papini?!
   Il libro è ortodosso, edificante e bello. L'abbiamo letto con intensa commozione, risentendo nell'anima stupefatta un Cristo vivo o vivente, forte e soave, tutto Dio e tutto uomo; così umano nella sua divinità, così divino nella sua umanità! Chi dubita della sincerità della conversione al Cristo di Giovanni Papini non ha aperto, leggendo, tutta l'anima sua al fremito, all'entusiasmo caldo e puro di fede che anima, soffio gagliardo, queste pagine ricche di arte e di amore senza limite. Giovanni Papini crede, vivamente crede, di una fede che è dedizione di tutta l'anima a Gesù.


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   Ho parlato di conversione. Merita veramente questo nome l'adesione piena a Gesù Cristo del vivace, battagliero, scapigliato e scapestrato scrittore fiorentino che abbiamo conosciuto attraverso le più svariate pubblicazioni, le più recise negazioni di miscredente e le più spavalde confessioni di ateo compiuto, definitivo, intero, “di nichilista perfetto„, che ostenta il più sarcastico disprezzo per tutte le fedi, siano “mitologiche„, o laiche, o umanitarie, o filosofiche; che passa dai “saturnali metafisici„ all'arte e dall'arte alla metafisica, senza prendere sul serio nè l'una nè l'altra, sempre nomade, bohémien, negatone, bestemmiatore, fino ad ieri, fino a due o tre anni prima della sua commossa e grandiosa professione di fede cristiana cattolica.
   Qualcuno ha definito la Storia di Cristo un'opera autobiografica e soggettiva, cioè, prima di ogni altra cosa, un'opera di poesia. Chi così scrive stronca maledettamente libro del Papini. Poesia! E' poesia anche il sonetto a Francesco d'Assisi del Carducci; sono poesia alcune canzoni di Gabriele d'Annunzio; vogliamo mettere queste ed altre opere di arte sullo stesso piane della Storia di Cristo? Un'opera d'arte può essere l'espressione di un momento passeggero dello spirito, di un entusiasmo, di una determinata manifestazione di vita scompagnata affatto dall'accettazione precisa e teoretica della verità e della morale che sotto quella manifestazione si celano, come intima sostanza di essa; come si fa a vedere nell'anima del Papini che scrive la Storia di Cristo lo stesso atteggiamento che hanno assunto il Carducci e d'Annunzio nello scrivere le suddette opere d'arti? No, la Storia di Cristo è un'opera d'arte come le Confessioni,


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come la Vita di S. Francesco del Joergensen, cioè un'espressione di amore, pratico, di convinzione, di accettazione, e di edificazione. Ma si legga, per bacco, la “prefazione„ prima di scrivere cose simili. E che cosa si vuol dire quando la si battezza per una opera soggettiva, autobiografica? Non è soggettiva e autobiografica, in questo senso, anche, per esempio, “La critica della ragion pura„ di Kant? Non balocchiamoci con parole vane quando si tratta di capire nella sua vita intima un libro grande, passionato, pieno di convinzione e di dedizione, come questo.
   Ma è, ripeto, un libro di un convertito? E che cos'è la conversione?
   Un autore caro al Papini, il James, ha scritto “Quando l'anima, dopo una lotta interiore, nella quale dominava il sentimento della sua debolezza e della sua infelicità, trova la gioia e l'armonia nell'intuizione della realtà religiosa, noi chiamiamo questo passaggio, lento o rapido, una conversione„. Noi non conosciamo attraverso quale lotta interiore sia passato, prima di darsi a Gesù Cristo, il Papini, ma che una lotta ci sia stata indoviniamo da molte pagine. Si legga la bellissima preghiera a Cristo; tutta; specialmente queste parole finali: “Ma noi, gli Ultimi, ti aspettiamo, ti aspetteremo ogni giorno, a dispetto della nostra indegnità e di ogni impossibile. E tutto l'amore che potremo torchiare dai nostri cuori devastati sarà per te, Crocefisso, che fosti tormentato per amor nostro e ora ci tormenti con tutta la potenza del tuo implacabile amore„. Magnifico di drammaticità questo amore che tormenta le anime, l'amore implacabile. Che questo uomo che un tempo aveva lasciato “scapestrare il suo amore matto e volubile per tutte le strade dell'assurdo„, che quest'uomo “dopo tanto scavallare, scorazzare, matteggiare e vaneggiare„ abbia potuto, senza lotte interiori, venire a mettersi sotto il giogo del Signore Gesù e accettarne il Vangelo e far sua la disciplina dottrinale e morale della Chiesa, è più che inverosimile. Ma il suo ritorno a Cristo è un ritorno di evoluzione, sia pure combattuta, o è una rivoluzione come quella di S. Paolo sulla via di Damasco? L'autore al quale accennammo sopra, crede di poter spiegarsi, in parte, il fenomeno Papini che professa il Cristianesimo nel Cattolicismo, ricordando certi tratti di alcuni scritti di lui.
   Nel Crepuscolo dei filosofi — del 1906 — il giovanissimo Papini scriveva, contro l'anticristianismo del Nietzsche “Cristo è venuto al mondo non solo per annunziare il Regno dei Cieli, ma anche come portatore di salute e di forza, come colui che conosce la


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naturalità del male, e fugge la scienza dei dottori e l'ipocrisia dei devoti„. Nelle Memorie di Iddio del 1911 afferma bizzarramente il carattere innato della religiosità delle anime e, quindi, la sua indefettibilità: e nelle Polemiche religiose, in uno studio serio del 1908, dal titolo “La religione sta da sè„ (il titolo dice tutto) domanda, fra l'altro, ironicamente, ai nostri Hegeliani “se ci sarà chi non avrà paura di proclamare Hegel più grande di Cristo„, e oppone al Dio idea dei filosofi, il Dio del vero credente, della vecchia che prega senza saper nulla, e di Pascal, con evidente simpatia per il secondo concetto della Divinità. Altrove afferma la grandezza e la importanza di Gesù e del Cristianesimo e se la prende coi cristianucci, che sono assai inferiori all'ideale di Cristo. E il suaccennato ricercatore di passi avrebbe potuto citare anche due periodi del Leonardo, la rivista battagliera del Prezzolini e del Papini, dove già nel 1909 si scriveva: “Negli ambienti laici c'è una certa ripugnanza a parlare di Gesù. Molti bravi uomini i quali discorrono volentieri di Buddha o di S. Francesco, cercano di non occuparsi di colui che ha per noialtri europei un'importanza ben più grande, si voglia o no seguirlo. Il Leonardo intende reagire anche a questa forma, di vigliaccheria spirituale, e vuol dare l'esempio di una rivista libera, la quale ai occupa liberamente di questioni religiose, che non sono meno importanti, anche per i puri laici, di quelle logiche o biologiche. Intanto per cominciare pubblichiamo riunite tre visioni della persona di Cristo„.
   E le citazioni potrebbero continuare. Ma a che pro? A un ipotetico avversario non sarebbe difficile portare passi e passi, dove il Papini di ieri e ieri l'altro derideva e bestemmiava la religione e offendeva Cristo, “come pochi prima di lui avevano fatto„. Non in pochi o in molti passi di uno scrittore volubile si possono cercare i rapporti spirituali del suo ieri al suo oggi, ma se mai, in qualche tratto, in qualche linea sicura del suo carattere, nel sostrato morale della sua anima. Ed è proprio esaminando alcuni tratti di questo sostrato cha sono giunto alla convinzione che il Papini era tutt'altro che indisposto, che refrattario a intendere e far suo il Cristianesimo.
   Debbono necessariamente limitarmi ad accennare.
   Uno dei concetti più chiari, anzi una delle esigenze più forti dell'anima del Papini ha per termine l'Uomo-Dio. “L'Uomo-Dio ha tre significati, egli scrive, cristiano, mistico, magico. Cristiano: l'idea dell'Incarnazione; mistico: l'idea della fusione dell'anima in


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Dio; magico: l'idea di imitazione; l'anima cerca di acquistare i poteri attribuiti a Dio„ 2. E lui vuoi farsi Dio per imitazione e mostra come l'uomo si può far Dio magicamente. Una stramberia; la quale dimostra però, che il concetto dell'Uomo-Dio fa parte del suo, diciamo così, ideale di superuomo. Ma c'è dell'altro. Perchè l'uomo vuol diventar Dio? Risponde Papini “La ragione più forte per la quale l'uomo vuol diventare Dio è il bisogno della pace definitiva„. Gli uomini non sono soddisfatti del presente. Infatti agiscono e desiderano senza fine.
   Miseria, impotenza, agitazione continua e desideri eternamente rinascenti, ecco la sorte degli uomini. “E, dopo di aver detto che alla liberazione di questo tormento non possono condurre nè la rinunzia, che non è mai perfetta, nè il possesso, colla soddisfazione del massimo numero di desideri, egli addita un'altra via di liberazione: “soddisfarli tutti, diventare onnipotenti„. “Quando l'uomo otterrà tutto, le cose subiranno un deprezzamento infinito, e i desideri moriranno nel suo cuore„ e godrà la pace e la calma perfetta. Ma arriva anche a comprendere la vanità, di tutto. “Il possesso ha, dopo un certo tempo, per risultato la nausea e chi molto possiede molto disprezza (Salomone)„ 3. Ebbene, anche qui ci troviamo dl fronte a un paradosso se non si considera questo atteggiamento dell'uomo da un punto di vista ideale, da quello che ci rivela la assoluta incapacità di ogni bene creato a dare all'uomo la pace vera: chi può mai soddisfare tutti i desideri? Ma è caratteristico che il Papini è tornato a Gesù, dopo esser passato, con delusioni tanto profonde quanto erano stati potenti gli entusiasmi, attraverso molte esperienze, le più diverse e le più nuove che poteva trovare„, come egli dichiara nel “L'autore a chi legge„. Viene fatto di pensare a S. Agostino. E rileggo una meravigliosa pagina della Storia; mi permetto di citarla intiera: “L'amore per i nemici alla ragion comune sembra pazzia. Vuol dire che la nostra salute è nella pazzia. L'amore per i nemici rassomiglia all'odio per noi medesimi. Vuol dire che arriveremo alla beatitudine solo a costo di odiare noi stessi„. E continua: “Nulla ci deve far terrore al punto a cui siamo giunti. Che s'è provato tutto, s'è consumato tutte l'esperienze. Da


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settimane di millenni noi stiamo sulla terra provando e riprovando. Abbiamo sperimentato la ferocia e il sangue ha chiamato sangue. Abbiamo sperimentato la voluttà e la voluttà ci ha lasciato intorno odore di marciume e un'arsione più spasimosa. Abbiamo sforzato il corpo nei più raffinati e perversi piaceri, finchè non ci siamo trovati, logori e tristi, sopra un lotto di stabbio. Abbiamo sperimentato la Legge e non abbiamo ubbidito la Legge e l'abbiamo cambiata e l'abbiamo ancora disubbidita e la Giustizia non ha saziato il nostro cuore. Abbiamo sperimentato la Ragione, abbiamo fatto i conti del creato, numerate le stelle, descritte le piante, le cose morte e le vive, le abbiamo legate insieme coi fili leggeri dei concetti, le abbiamo trasfigurate nei vapori magici delle metafisiche, e alla fine le cose erano quelle sempre, eternamente le stesse, e non ci bastarono e non si potevano rinnovare, e i numeri e i nomi non calmavano la nostra fame e i più saggi hanno finito con attediate confessioni di ignoranza. Abbiamo sperimentato l'arte, e la nostra impotenza ha fatto disperdere i più forti, pecchi l'Assoluto non sta nelle forme, il Diverso trabocca dall'Unico, la Materia lavorata non ferma l'Effimero. Abbiamo sperimentato la Ricchezza e ci siamo trovati più poveri; la Forza e ci siamo svegliati più deboli. In nessuna cosa l'anima nostra s'è quietata; a nessun'ombra il nostro corpo disteso ha gustato il suo riposo; e il cuore sempre cercante, sempre disilluso, è più vecchio, più stracco, più vuoto perchè in nessun bene ha trovato la sua Pace, in nessun piacere la sua Gioia, in nessuna conquista la sua Felicità„ 4. E' dunque un'illusione anche la Pace, come scaturente in seguito alla soddisfazione di tutti i desideri; bisogna fare un'ulteriore esperienza, quella del Cristianesimo. Questo pensiero ritorna, più o meno accentuato, in molte pagine del libro. E come esulta l'uomo alla propria deificazione, all'onnipotenza che opera miracoli, secondo il Papini del 1905? Col morire al mondo, come dicono i cristiani e come insegnava Meister Echart: “Nessuno ha il mondo in suo dominio come colui che a tutto il mondo ha rinunziato„. Pensiero, questo, che passa attraverso la Storia come lo spirito più intimo di essa.
   L'uomo si deificherà inoltre colla solitudine, col silenzio, colla castità, col digiuno. Coll'ascetica cristiana, in altre parole. E quali sono i chiamati fra i quali si scelgono più facilmente i pochi eletti


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al potere spirituale dell'Uomo-Dio? Ecco: “I semplici di spirito, quelli che non sono distratti dalle complicazioni dialettiche e dalle necessità molteplici degli intellettuali, i miserabili, i poveri, che non sono preoccupati della cura della ricchezza, dalla bramosia di accrescerla, dal timore di perderla„ 5. A chi non viene fatto di pensare a tutto lo spirito del Vangelo, che è quasi un commento a questo principio: Beati i poveri, e la profonda e commossa esclamazione di Gesù: “Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto le cose sublimi ai sapienti e ai prudenti, e le riveli ai piccoli„? Tutta la Storia di Cristo del Papini è una crociata contro la ricchezza dei ricchi; è il panegirico della povertà, non come fine, ma come mezzo di elevazione dell'uomo a Dio e di potenza divina. Non cito. Leggete: Povera gente, Beati i poveri, Vendi tutto, Lo sterco del demonio leggete e rileggete il capitolo Bambini: “Gesù non ama i fanciulli soltanto come modelli inconsapevoli dei candidati alla perfezione del Regno, ma come i suoi mediatori della verità. La loro ignoranza è più illuminata della dottrina dei dottori; la loro ingenuità è più potente dell'ingegno che si specchia nelle parole intessute di ragioni„. L'amore della semplicità, della schiettezza nativa, della franchezza senza ritegno, contrapposte alla ipocrisia superba, all'arte del dire e del non dire, alle convenienze sociali, è sempre stata una nota caratteristica, una nota anzi esagerata, del Papini. Così pure il disprezzo della ricchezza, e dei falsi ricchi. Il Vangelo dovrà attrarlo con forza intensa, coi suoi due precetti quasi fondamentali, della franchezza spirituale e della povertà. Anche prima di tornar al Cristo, anche quando credeva di essere lontano da lui come pochi altri, il Papini aveva profonde affinità collo spirito del Vangelo.
   E quello che nel Vangelo, è per molti la pietra d'inciampo e quasi l'ostacolo insormontabile, il miracolo, non poteva trattenere neanche un istante sulla via del ritorno il Papini, che del potere taumaturgico aveva fatto un attributo del vero uomo, dell'uomo che ha superato le cose del mondo ed è fatto partecipe della divinità. L'uomo-Dio deve sconvolgere l'universo, rifarlo, a suo modo, produrre improvvisamente cambiamenti di grandezza e importanza non mai vedute. E non gli sarà un ostacolo sulla via del ritorno neanche la Fede, l'altra pietra d'inciampo per molte anime moderne, che


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della scienza, della prova o dimostrazione, hanno fatto una condizione assolutamente indispensabile per l'accettazione di tutto quello che si vuol offrire alla loro ragione; il Papini è sempre stato un credente, un panegirista della fede, anche quando nutriva una repulsione per tutte le fedi riconosciute, per tutte le chiese e per tutte le forme di vassallaggio spirituale. Una parte della sua filosofia, del pragmatismo, non è forse la cultura della credenza? Non ha persino esagerato gli effetti del credere sulla verità, di quello che si crede sull'azione? Non ha illustrato da par suo col James, col Lange e coi grandi psicologi e maestri di vita spirituale e fondatori degli ordini religiosi, quanto l'agire come se si credesse, che è il metodo apologetico di Pascal, influisca sulla creazione della credenza stessa e di tante convinzioni che stanno e base della vita? E con ciò egli riconosceva implicitamente uno degli insegnamenti più efficaci della apologetica e insieme la necessità e l'utilità del culto esterno, o delle pratiche ascetiche della vita cattolica, che costituiscono, per molti, i lati deboli, formalistici, sorpassati, della religione.
   Ho chiamato “sua„ filosofia il Pragmatismo, poichè egli è sempre stato fedele, in fondo, all'idea della verità come utilità, intesa a dovere. Il senso delle teorie è sempre consistito per lui, unicamente nelle conseguenze che ne aspettano quelli che le credono vere. Il Leonardo, la Voce, l'Anima, le tre riviste che hanno diffuso per l'Italia il meglio del suo pensiero, ci fanno conoscere un Papini in una grande varietà di atteggiamenti spirituali, che non sono in fondo che modi dell'atteggiamento fondamentale: il pragmatistico. Che è — spogliato dalle bizzarrie, dai paradossi e dalle impertinenze onde l'ha circondato o quasi materiato il Papini — non alieno dell'atteggiamento cristiano di apprezzare le dottrine. “Dai frutti conoscerete l'albero„, ha detto Gesù; e il Vangelo è più, molto più, un tesoro di dottrine utili che di concetti sistematici e peregrini. Un uomo che nelle teorie cerca la potenza che esse hanno di cambiare in meglio la vita, se si accosta al Vangelo, dovrà confessare che, nelle pagine immortali dei Sinottici e di S. Giovanni, la verità pragmatistica, nel senso più alto e accettabile della parola è profusa a piene mani; e le storia del Cristianesimo, cioè delle conseguenze rivoluzionarie della parola di Gesù, conferma il carattere santamente pragmatistico della Buona Novella. E questa confessione è un primo passo molto grande, verso la confessione di Pietro: “A chi andremo noi? Tu solo hai le parole di vita eterna„.


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   E si dispone ad accettare Gesù colui che si conserva immune da ogni specie di Monismo, panteistico, hegeliano o haeckeliano che sia, perché il Cristianesimo è Dualismo di Dio e mondo, di spirito e corpo, di soggetto e di oggetto, di essere e di dover essere. Il Papini, più che dualista, era un seguace del Pluralismo; accettava, cioè, tutte le differenze che vediamo ed esperimentiamo nella realtà, per darne poi aggruppamenti vari che costituiscono le basi delle scienze. Il Pluralismo tiene conto di tutte le distinzioni più ovvie e non è chi non veda come questa concezione della realtà tiene conto soprattutto delle distinzioni fondamentali del dualismo. Al Papini, arrivato verso la verità, non poteva far velo od ostacolo un pregiudizio monistico di nessuna specie: la sua anima era aperta a cogliere i fatti e a interpretare le dottrine senza credersi in dovere di spiegare l'origine del diverso dall'Unico. Questa sua innata disposizione ad intendere le distinzioni costitutive della visione cristiana della realtà, congiunta cogli aspetti ai quali abbiamo accennato sopra della sua forma mentis, o meglio, animi, specialmente coll'aspetto pragmatistico che lo invitava verso i problemi pratici, la cui soluzione è suscettibile di far cambiare le nostre azioni e il nostro atteggiamento attivo in faccia alla realtà; tutto questo ci mostra nel Papini un uomo tutt'altro che refrattario a capire e ad accettare il Vangelo e la Fede.
   Ma ciò che, se non m'inganno, attrasse di più il Papini al Cristo, è il carattere di Capovolgitore che egli esalta senza ritegno nel Maestro divino; nel quale carattere, sia pure con tutte le riserve possibili, il paradossista fiorentino, il clamoroso capovolgitore feroce di tanti valori intellettuali, morali e letterari ritrova un poco se stesso. Quando parla di questo lato, che è il lato basale della predicazione di Gesù, il Papini guazza nel suo elemento, si entusiasma, respira largo e pieno, ammira, ama con tutta la forte simpatia del suo animo, come chi si trova davanti alla più perfetta incarnazione del suo ideale di vita. Sentite il “Gianfalco„ del Leonardo: “I Gimnosofisti dell'Eunuchismo e la setta poltronesca dei Saturnini, sono gli Uomini Seri che arrivano a, cose fatte e le fatte non rifanno, ma ripetono e guastano, hanno sempre mostrato il viso dall'arme a quello che si chiama Paradosso, e per non durar fatica a distinguere i Paradossi sacri da quelli che sono fatui divertimenti dei cervelli balzani o malsani se la sbrigano sentenziando in solido che i Paradossi non sono altro che rovesciamenti di verità antiche riconosciute; dunque falsità... Se codesti papassi


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del Già Detto volessero compiacersi di richiamare dal deposito della loro stivata memoria le pochissime Idee Madri sulle quali vive o, meglio, agonizza il pensiero moderno, si accorgerebbero, scandalo grosso, che sono tatti, o quasi tutti, rovesciamenti cioè Paradossi„. “Ma il più gran Rovesciatore è Gesù. Il supremo Paradossista, sconvolgitore radicale e senza paura. La sua grandezza sta qui. La sua eterna Novità e Gioventù. Il segreto del gravitare d'ogni gran cuore, presto o tardi, verso il suo Vangelo„. Sono pagine magnifiche queste che il Papini ci regala sotto il titolo di Capovolgitore. Dove si diletta pure dei contrasti, accentuati da Cristo, fra il Basso e l'Alto, fra la Vita e la Morte, il No ed il Si, contrasti che il Papini quasi esagera, appunto per la sua inguaribile tendenza al Paradosso.
   Che valore hanno, a spiegare il ritorno a Cristo del Papini, questi affrettati e appena accennati riavvicinamenti? Non so. Forse non molto, se solleviamo il nostro pensiero verso Dio, dal quale soltanto viene ogni volere e ogni potere. Cristo, col suo implacabile amore, lo ha tormentato finchè l'odiatore di ogni vassallaggio ha accettato di diventare suddito e soldato di Cristo Re. Fuori di Lui, lontano da Lui, si trovava male, disperatamente male, era un “uomo finito cioè„ scontento di sè o degli uomini, della vita e del mondo, perchè deluso di non trovar mai una particella di verità certa, perchè incapace di conquistare una fede, perchè persuaso di essere un genio, senza riuscire e vederne la manifestazione pratica, perchè impotente a diventare un santo, un mago, un taumaturgo, un semidio, Dio„, come è stato scritto in un breve riassunto della sua opera letterariamente e passionalmente più perfetta intitolata appunto l'“Uomo finito„. Nella quale si sente la infinita stanchezza dell'uomo che piange amaramente lagrime di orgoglio e di impotenza. Non vedeva nessuna via di salvezza, non conosceva ancora amorosamente Gesù. Non vi era scelta fra la disperazione e la vita. Oggi, per la grazia di Dio, la scelta è stata possibile e la predica agli altri, a quelli che non conoscono Gesù e stanno lontani da Lui e lo tradiscono e si perdono. “Non v'è per gli uomini, altra scelta. O la più sconsolata agonia, o la più temeraria fede. O morire o salvare.
   Il Passato è orribile, il presente è schifoso. Diamo tutta la nostra vita, offriamo tutto il nostro potere d'amare e di intendere perchè il futuro sia felice. Se fin qui abbiamo sbagliato, e la prova irrefutabile è che stiamo male, lavoriamo alla rinascita di un uomo nuovo e di una vita nuova. L'etnica luce è questa. O Felicità non sarà mai data agli nomini oppure — e questo crede fermamente


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Papini —, se la felicità può essere nostro comune ed eterno possesso, non la potremo raggiungere che a questo prezzo. Cambiare strada, trasformare l'anima, creare valori nuovi, negare gli antichi, dire il NO della santità ai SI' delusivi del mondo. Se Cristo ha sbagliato non ci resta che la negazione assoluta, e universale e il volontario annientamento. O l'ateismo rigoroso e perfetto, non quello ipocrita e nuovo dei pusilli scettici d'oggi o la fede operante nel Cristo che salva e risuscita nell'amore„.
   Così ha risolto il Papini uno dei più assillanti problemi, anzi l'unico problema. “Il problema è uno solo: Sono gli uomini immutabili, non trasformabili, non migliorabili? Noi sappiamo come Gesù ha risposto a questa tremenda domanda. E' venuto a rifare l'uomo intero, a creare un uomo nuovo, a estirpare il centro più tenace dell'uomo vecchio. I discendenti di Adamo non gli hanno creduto; hanno ripetuto le sue parole e non l'hanno seguito; e gli uomini per la sordità del loro cuore, gemono ancora in un Inferno Terrestre che di secolo in secolo va diventando più infernale, finchè i tormenti saranno così atroci e insopportabili che negli stessi dannati nascerà improvviso l'odio per l'odio; finchè i moribondi ribelli, nella frenesia della disperazione, giungeranno ad amare i loro carnefici. Allora dalla gran tenebra dolorosa, sorgerà finalmente la casta splendidezza di una miracolosa primavera„. E' l'ultima esperienza riservata agli increduli accecati di oggi, a chi non crede. Ma il Papini crede ed è, salutarmente, feroce, pugnace, mordace contro quelli che erano ieri i Suoi compagni nella vera o presunta incredulità.
   “Tutti i posapiano dello spirito, tutti i pirronisti da tre un quattrino, i cacastecchi delle cattedre e delle accademie, i tepidi cretini imbottiti di pregiudiziali, tutti i casosi, i sofistici, i pidocchi della scienze; infine tutti i lucignoli gelosi del sole, tutti i paperi che non ammettono i voli dei falchi, hanno scelto a protettore presidiatore Tommaso il Gemello. Non credono se non toccano„. Ed egli, il Papini, con Gesù chiama “Beati quelli che credono senza aver visto„. Perchè le verità che hanno un valore assoluto sulla realtà, sono quelle che la vista normale non vede e che le mani di nessuno non potranno mai toccare. “Beato lui, il Papini, che ha creduto senza aver visto„.

fr. AGOSTINO GEMELLI, francescano


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